E un elfo li radunò

Recensione del libro ‘E un elfo li radunò’ (Linee Infinite Edizioni) del veronese Davide Galati, presente alla nostra rassegna letteraria il 16 marzo.

Un racconto narrativo, secondo il nano Mimton, non può compiere troppi voli con la fantasia, deve avere dei meccanismi semplici in grado di spiegarlo, «una sfera magica o un amuleto o direttamente l’incantesimo di uno stregone»: per cui, tralasciando quelle «macchine che trasmettono il suono e l’immagine attraverso l’etere», simboli della nostra concezione di esistenza concreta, in “E un elfo li radunò” del veronese Davide Galati edito da Linee Infinite entriamo in una complessa struttura a più livelli in cui oltre al mondo creato, ai creatori e al dio dei creatori, un fantomatico Maestro, viviamo una doppia sfasatura temporale in cui la cognizione del dopo trasforma la realtà del passato nel momento stesso in cui la si vive. Noi conosciamo, grazie alle parole di Sir Questor Lainsias, l’elfo eterno, l’evoluzione dei sei eroi di Nuncupo: la corruzione e il male imperversano, Konar Forgiafuoco, il nano oscuro, ha smarrito la sua anima in un tentativo, efficace, di ribellione oltremondana e della sua poco piacevole avventura incolpa gli amici di un tempo, ritenuti responsabili di non averlo tratto fuori dalla prigione soprannaturale in cui era detenuto. Lainsias, in quella che è una vera e propria sfida contro il tempo, organizza un ritrovo con i suoi vecchi compagni: scopo della mission è quello di recuperare i cinque Semi, ovvero i pilastri dell’intera Nuncupo, per creare un varco e salvare l’anima dell’amico prima che sia troppo tardi. L’elfo Questor, il sovrano di Berkelion Sir Rynthoor Clarosangue, il Sommo Attiba Wise, il chierico Vysuus e il ladro di anime Lupin «avevano affrontato pericoli di ogni sorta, eppure sembrava che da un momento all’altro dovessero cedere»: è un gruppo e in quanto tale le incomprensioni, retaggio di un vecchio modus operandi fatto di segretezza, sono all’ordine del giorno, ma «la tenebra, l’oscurità non riusciva a sopraffarli del tutto proprio grazie a quel legame che impediva ai loro spiriti di sprofondare nel baratro». Mentre gli eroi, passo per passo, con grandi assenze e successive ricongiunzioni, portano avanti il loro piano, i monaci dell’Ordine, la Potnia Teron, Signora delle Scimmie dal mutevole abito floreale e la Magistra di Norrigan, con la collaborazione del Sommo Attiba, si trovano coinvolti nella traduzione delle pergamene di Lighon che celano arcani segreti, nascosti da un alfabeto indecifrabile per il singolo ma chiaro nell’insieme. Non è una conoscenza per tutti. Mentre Berkelion muove guerra, tramite il colpo di stato del primo ministro, alle Terre del Nord del Sommo Attiba, un esercito di negromanti e di esseri mostruosicomandato da Konar volge alla risoluzione finale della battaglia, promettendo morte e rovina. L’intreccio non è semplice, ma si può riassumere nella formula «forze antiche, malefiche si erano messe in moto» e la conclusione, per quanto felice, non può che generare ansia nel lettore, incerto se credere o no nei suoi eroi, a volte divisi, a volte uniti, incapaci di superare le vecchie antipatie. Protagonista è Sir Lainsias, mente del gruppo, che conosce il futuro. Lui sa, gli altri non sanno e le sofferenze sono indicibili, doppiamente ricadrà la colpa in caso di sconfitta. E’l’elfo del titolo il motore della ricerca, un personaggio sempre circondato da belle donne, in una parola eterno.

Recensione a cura di Camilla Bottin

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