Intervista a Cesare Catà

A tu per tu con Cesare Catà, l’autore de ‘Filosofia del Fantastico. Escursione tra i Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo’ presente alla Rassegna Letteraria il 16 febbraio.

Nel Suo libro ‘Filosofia del Fantastico. Escursione tra i Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo’ cita la Grotta della Sibilla, porta d’ingresso di un vero e proprio immaginario erotico sensuale. L’ultimo studioso che può averla visitata risale alla metà del XX secolo perché in seguito la struttura è crollata per via dell’utilizzo improprio di esplosivi. In quanto marchigiano ha mai visitato l’area circostante? Se sì, cosa ha provato, si è fatto prendere dall’immaginazione? Se fosse stato nei panni del cavaliere del racconto di De La Sale sarebbe riuscito a tornare nel mondo reale e a ravvedersi in tempo?
I miei studi sui Monti Sibillini, e il correlato bagaglio di miti e leggende nasce proprio dal rapporto che fin da piccolissimo ho instaurato con questi luoghi, vivendoli con escursioni e passeggiate, come sono solito fare tutt’ora. Ben prima che sapessi cosa questo territorio nascondesse a livello culturale, ne ho apprezzato la bellezza naturalistica unica. E non credo che le due cose siano del tutto scisse, ma anzi che siano connesse nel profondo. C’è una sorta di inquietante fascino che aleggia nella bellezza dei paesaggi, delle cime, dei sentieri di questi luoghi – il medesimo che intride storie e leggende tramandatesi nel corso dei secoli. D’altronde, se tra Medioevo e Rinascimento i Sibillini furono considerati il luogo magico per antonomasia, in Europea, questo dovette essere dovuto anche al fascino esercitato da questi luoghi. Oggi, com’è noto, la Grotta della Sibilla è del tutto crollata; io ho avuto numerose volte modo di camminare in quell’ambiente, dove oggi il profilo della Grotta è quasi irriconoscibile. Si parla di riaprire la grotta con interventi di geo-ingegneria. Ma la cosa mi pare un po’ sciocca: sarebbe come drenare il Lago di Lochness, in Scozia. In realtà la forza immaginifica e culturale – e di conseguenza il potenziale turistico – di quell’ambiente sta proprio nel fatto che esso appartiene a un mondo-altro, quello dei miti. E poi penso che se la Grotta è crollata dev’esserci un motivo: anticamente, l’ingresso alla Grotta era consentito solo a dei Cavalieri, e per essere tali, non bastava solo il blasone, ma anche un senso dell’onore straordinario, una forza d’animo unica e mistica. Oggi, forse, non è più tempo di cavalieri. E dunque non è senza significato che la Grotta della Sibilla sia per sempre crollata. Ho pensato spesso a come mi sarei comportato, essendo nei panni di uno degli eroi evocati da Antoine de La Sale, che sono riusciti a penetrare la Grotta e a incontrare il suo corteo di Fate. Non credo che se avrei scelto di tornare. Probabilmente io avrei preferito l’altro mondo. Ma nel gesto di Guerrin che lascia la grotta c’è un significato profondissimo, come quello di Odisseo che torna a Itaca abbandonando l’Isola di Calypso. Odisseo lo fa per ritrovare sua moglie (Penelope), suo figlio (Telemaco), il suo regno (Itaca), e per Guerrino la cosa non è differente, Lo fanno per ritrovare se stessi. E non c’è fede più grande.

Lei è stato visiting scholar in prestigiosi atenei stranieri, ma come immagino dall’introduzione del libro quella che Le è rimasta più nel cuore è stata l’esperienza all’Istituto Italiano di Cultura di Dublino, in Irlanda. Vuole raccontarci com’è stato l’impatto con lo stravagante folklore irlandese fatto di folletti, pozzi di San Patrizio e rugby?
Con l’Irlanda intrattengono uno strano e profondo rapporto di affinità elettiva, sin da quando, appena diciassettenne, la visitai la prima volta nel 1998, per poi tornarci ogni anno, per periodi di lavoro, vacanza e studio più o meno lunghi. L’Irlanda che ho conosciuto all’inizio e quella che ancor oggi più amo non è tanto quella della realtà dublinese, quanto l’Irlanda dell’Ovest, i territori del Connemara, delle Isole Aran, del Donegal e di Sligo, amati e vissuti dal poeta William Butler Yeats. Non credo che vi sia un altro luogo, in Europa, dove la poesia, la musica, la bellezza, le leggende hanno un radicamento così forte, in una terra di una così struggente bellezza. La pioggia costante e il vento instancabile che sbatte sulle coste occidentali irlandesi insegna agli uomini come la gioia sia presente anche dentro il dolore. E come tutto possa risolversi con una pinta di Guinness… I Leprechauns, i famosi folletti irlandesi, così come le mille storie sulle Fairies, le fate alate di questi boschi, non sono mere allucinazioni o superstizioni. Sono segni di elementi profondi dell’anima umana, che si traducono in creazioni dello spirito. Forse è per questo che amo così tanto quei luoghi, pieni di storie umane e fantastiche.

Il Suo campo di studi concerne essenzialmente la filosofia rinascimentale, come è arrivato ad apprezzare filosofi come Marsilio Ficino, Nicola Cusano e Charles de Bovelles?
Sì, a livello accademico, oltre a Shakespeare e la letteratura inglese, mi sono occupato sopratutto di Neoplatonismo. E’ una filosofia, che, al di là dell’accademia, mi coinvolge profondamente. In particolare, credo che il periodo Rinascimentale sia stato l’apice della cultura europea, e allora i pensatori neoplatonici di questo periodo hanno segnato probabilmente una strada per intendere la vita umana che oggi rappresenta una preziosissima eredità. Vivere secondo il criterio della Bellezza, e in forza di una virtù della ragione in grado di vincere il fato sono i grandi insegnamenti del Neoplatonismo rinascimentale. E credo valgano ancor oggi. Infatti hanno influito in modo decisivo anche in uno dei miei filosofi di riferimento, lo psicanalista Carl Gustav Jung.

Intervista a cura di Camilla Bottin

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